La violenza si può raccontare con un ballo?
Ho visto C’è ancora domani appena è arrivato nei cinema della mia città, erano i primi giorni, non c’era ancora clamore, nelle giornate feriali la sala non era nemmeno piena.
Ho sofferto, ho riso, ho pianto… sono uscita carica di emozioni e di voglia di trattenere tutte quelle emozioni e lo stupore finale, per dare ancora più forza ed energia al mio impegno con le donne e per le donne.
Nei giorni e nelle settimane seguenti ho letto avidamente i commenti riconoscendomi in tante persone che hanno saputo rendere meglio di me il senso di gratitudine per questa opera prima di Paola Cortellesi alla regia.
Ho letto anche le critiche, ho riflettuto sul perché di alcune ingenerose prese di distanza, mi sono lasciata interrogare dai giudizi duri di alcune persone che stimo e che sinceramente ho faticato a comprendere.
Ma c’è una emozione più forte delle altre che mi porto nel cuore da quella sera e su cui ho letto solo cose frettolose… oggi è il giorno giusto per parlarne: è la scena in cui lui, Ivano, la picchia ma quella violenza viene resa e trasformata in una surreale scena di ballo.
Ecco è proprio così… ho pensato!
Mi sono passate davanti in un tratto tutte le donne che ho conosciuto e che hanno subito la violenza dei loro mariti e compagni, i loro racconti e quella loro capacità (strano istinto di sopravvivenza!) di imparare a convivere con quella violenza imparando a farsela scivolare addosso, chiamandola irritabilità, gelosia, e persino amore.
Ecco è così… deve essere proprio così che una donna riesce a convivere con un uomo violento, che una donna sopporta per amore dei propri figli di subire il dolore fisico senza “quasi” sentirlo, deve essere così che il loro cervello fugge in una dimensione in cui quella violenza è un ballo che prima o poi finisce, basta sopportare.
E’ così che raccontano… mi picchiava ma io non sentivo nulla! e lui si arrabbiava perché io non mi piegavo…
Non è una scena banale, mi piacerebbe sapere come è nata l’idea nella stesura della sceneggiatura, ma forse anche no… penso a quelle donne diventate amiche dopo che avevano deciso di denunciare, di interrompere il ballo, so che non è stato facile e che ogni percorso di uscita dalla violenza è fatto di altri dolori e altre fatiche e spero che un giorno tornino a ballare di pura gioia e libertà.
Porto tutte loro nel cuore oggi, e spero che chi vede il film sia portato a riflettere su quanto questo Paese sia cambiato, ma anche quanto sia ancora rimasto profondamente maschilista e si.. patriarcale!
C’è ancora domani …
A me sinceramente ha dato fastidio il rappresentare con un ballo la violenza, non credo che le “botte” possano scivolare sul tuo corpo e credo che le persone sopportino solo perché non hanno alternative. Nel film è stato l’unico punto che non mi è piaciuto.
A me sinceramente è stato l’unico punto che non mi è piaciuto. Non si può rappresentare la violenza con un ballo e credo che le persone che lo tollerano lo facciano solo perché non hanno alternative
Patriarcato o maschilismo? Su questo si dibatte oggi vorrei che se ne discutesse in modo più intelligente. Del film della Cortellesi non posso giudicare, perché non l’ ho visto. Ho sentito da parte di alcuni giudizi molto positivi e anche accuse di conformismo di sinistra. Comunque in questi giorni sono stata subissata da trasmissioni sulla violenza di genere, speriamo che tutto questo non finisca come sempre.
Non ho visto il film ma ho letto il contenuto quindi la mia riflessione è po’ povera di emozioni. La situazione rappresentata era comune in quegli anni ma purtroppo presente forse in altre forme ancora oggi. Le donne intanto hanno fatto un percorso a partire dal movimento femminista, purtroppo ancora con scarsi risultati, questo perché secondo il mio modesto parere non è stato accompagnato da un un’ altro atto rivoluzionario, quello degli uomini, perché schiavi di un modello che impedisce loro di accettarrsi ‘
, di accettare le proprie fragilità. Da qui nasce una frustrazione che scaturisce in forme di violenza sia verbale che fisica nei confronti delle donne di cui non vogliono riconoscere le qualità e il ruolo fondamentale nella famiglia e nella società. Le responsabilità sono tante e di tutti, di una storia che ci portiamo dietro e che ora forse, gli uomini potrebbero cambiare se riescono veramente a liberare se stessi, cercando umilmente anche l’aiuto delle donne. C’è molto da lavorare a cominciare anche dal combattere una cattiva comunicazione che danneggia tutti.